Pupa Carmine, nobildonna milanese, nasce nel primo decennio del '900. Sposa il Conte Serandrei,
il quale durante il dopoguerra partecipa alla ricostruzione di Milano.
Il Conte e la Contessa Serandrei frequentano assiduamente ogni evento mondano e organizzano
ricevimenti e feste nella loro villa padronale alle porte di Milano.
Pupa muore quasi novantenne in quella stessa villa, vedova già da tempo e senza eredi.
Beatrice Albrici, antiquaria bresciana, viene invitata a visionare la villa, per acquistare alcuni
mobili che essa contiene.
Ma per questa volta non sono gli armadi in noce ad attirare la sua attenzione, bensì ciò che essi
celano: quattrocento abiti di qualsivoglia foggia, colore, genere ed epoca, corredati da scarpe, borse,
cappelli e gioielli.
Beatrice Albrici, in quanto donna, in quanto abituata da anni a competere e collaborare in un settore
prettamente maschile, si sente legittimata ad acquistare quel patrimonio di alta sartoria, così diverso
da quei mobili antichi, ma allo stesso tempo così tremendamente affascinante.
Seduttori della psiche femminile, gli abiti non sono considerati come vanesi capricci, ma come
argenti o cristalli, come pagine di un raro libro autobiografico, inconsciamente scritto e tramandato
da Pupa fino ai giorni nostri.
Ogni singola gonna, giacca, blusa, robe de soir è un capolavoro di alta moda, di ricami, di
incrostazioni, di paillettes, perle, strass e cannottiglie.
Realizzati su misura, essi raccontano la storia dello stile, dagli anni '50 fino ai favolosi anni '80 e
l'evoluzione del corpo di una donna, Pupa e del suo straordinario gusto.
Il guardaroba di Pupa riscontra un notevole successo di pubblico: fra sfilate in luoghi esclusivi,
mostre organizzate sempre in territorio bresciano (nella sezione Museo della Moda di Villa
Mazzucchelli) e rassegne vintage, la collezione viene visionata, apprezzata, applaudita e negli anni
anche venduta.
Ad oggi nella collezione privata di Beatrice Albrici si annoverano una ventina di pezzi, i più
spettacolari, ricchi e suntuosi.
Una vera e propria memoria storica di tradizioni stilistiche e testimonianza delle alte maestranze
artigianali dell'Italia del Nord: ad ogni abito soggiace un fil-rouge, un'allure eccentrica, eclettica,
sfacciata, conferita dall'estro della stessa Contessa e tradotto in meraviglie "handmade" di poco noti
atelier lombardi.
"Quando fui chiamata a visionare gli oggetti, la casa era già smembrata, ma non potei fare a meno di rendermi conto della straordinaria collezione di abiti e accessori custodita negli armadi.
Questa collezione è oggi nelle nostre mani con tutta la stima, l'entusiasmo, la meraviglia e il desiderio che l'insieme non vada perduto, né la collezione vanificata.
Tanti abiti di questo livello qualitativo creano una storia di vita personale ma anche collettiva, uno spaccato di storia del costume da raccontare.
"
Beatrice Albrici